Gli Sposi Promessi!

Auguro innanzitutto un Buone Feste a coloro che hanno aperto la mia rivisitazione dei Promessi Sposi. Sono del parere che a volte bisogna imparare divertendosi e al cringe non so dire di no!

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    7 novembre 1628

    Quel ramo del lago di Eufemia, collocato nella 21 regione d'Italia, denominata Discord, là fra insenature e golfi vi era la grande community di Detective Conan, lì nella macroregione vi erano tre microregioni, D. C. English, D. C. François e la community italiana. Lì, nella microregione del D. C. F. S. italiana vi erano tante piccole città sparse. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di admin e staffer, che insegnavan la modestia agli utenti e accompagnavan di tempo in tempo qualche utente alla porta; e, sul finir dell’estate, o all'avvicinarsi delle feste non mancavan mai di inventarsi contest ed eventi per unir maggiormente la famiglia. Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o meno ripide; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, ove, alzando lo sguardo, non scoprite che un pezzo di cielo e qualche cima di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell’acqua; da un lato del lago, chiuso all’estremità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l’acqua riflette capovolti, i paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra’ che l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch’essi nell’orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate quei vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’altre vedute.
    Fra quei spazi ampi vi era un piccolo villaggio pien di vita, esso aveva un nome assai strano Chat, che durante la sera, all'ora in cui tutti van a cena, per una di quelle stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, nel giorno 7 novembre dell’anno 1628, Don Tolihama , curato d’una delle terre accennate di sopra. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora.

    Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov’era solito alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni, uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie dei bravi.

    { I bravi erano vietati dalla legge di quel tempo ma poiché le grida erano solo orali tutti potevano rigirar la legge come volevano e i bravi continuavano a esserci.}

    Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perchè, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutti e due gli s’avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per spiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a sè stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide
    nessuno. Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, nei campi: nessuno; un’altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorchè i bravi. Che fare? Tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perchè i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che potè, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.

    “Signor curato,” disse un di quei due, piantandogli gli occhi in faccia.

    “Cosa comanda?” rispose subito Don Tolihama, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.

    “Lei ha intenzione,” proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, “lei ha intenzione di maritar domani Vandalych Tramaglino e Lucia Mondella!”

    “Cioè...” rispose, con voce tremolante, don Tolihama: “cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.”

    “Or bene,” gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.”

    “Ma, signori miei,” replicò don Tolihama, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, “ma, signori miei, si degnino di mettersi nei miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...”

    “Orsù,” interruppe il bravo, “se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c’intende.”

    “Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...”

    “Ma,” interruppe questa volta l’altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, “ma il matrimonio non si farà, o...” e qui una buona bestemmia, “o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e...” un’altra bestemmia.

    “Zitto, zitto,” riprese il primo oratore: “il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimo signor don Holmes nostro padrone la riverisce caramente.”

    Questo nome fu, nella mente di don Tolihama, come, nel forte d’un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: “se mi sapessero suggerire...”

    “Oh! suggerire a lei che sa di latino!” interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. “A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don Holmes?”

    “Il mio rispetto...”

    “Si spieghi meglio!”

    “... Disposto... disposto sempre all’ubbidienza.” E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio.

    “Benissimo, e buona notte, messere,” disse l’un d’essi, in atto di partir col compagno. Don Tolihama, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. “Signori...” cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Tolihama rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l’altra, che parevano fatte di pietra.

    Don Tolihama ( credo sia chiaro, sorry Toli 🙈 ) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin dai primi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a quel templ, era quella di un animale senza artigli e senza zanne, che pure non si sentisse inclinazione d’esser divorato.
    La legge non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse essergli d’impedimento a proferire una condannal Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza dei loro autori; o, se producevan qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano dai perturbatori, e d’accrescer le violenze e l’astuzia di questi. L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smuovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d’alcune classi, in parte riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività d’interesse, e con gelosia di puntiglio.

    Ora, quest’impunità minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperarr nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi. Così accadeva in effetto; e, all’apparire delle gride dirette a comprimere i violenti, questi cercavano nella loro forza reale i nuovi mezzi più opportuni, per continuare a far ciò che le gride venivano a proibire. Potevan ben esse inceppare a ogni passo, e molestare l’uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza protezione; perché, col fine d’aver sotto la mano ogni uomo, per prevenire o per punire ogni delitto, assoggettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d’esecutori d’ogni genere. Ma chi, prima di commettere il delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter piede; chi, senz’altre precauzioni, portava una livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l’interesse d’una famiglia potente, di tutto un ceto, era libero nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessi ch’eran deputati a farle eseguire, alcuni appartenevano per nascita alla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli uni e gli altri, per educazione, per interesse, per consuetudine, per imitazione, ne avevano abbracciate le massime, e si sarebbero ben guardati dall’offenderle, per amor d’un pezzo di carta attaccato sulle cantonate. Gli uomini poi incaricati dell’esecuzione immediata, quando fossero stati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, pronti a sacrificarsi come martiri, non avrebber però potuto venirne alla fine, inferiori com’eran di numero a quelli che si trattava di sottomettere, e con una gran probabilità d’essere abbandonati da chi, in astratto e, per così dire, in teoria, imponeva loro di operare. Ma, oltre di ciò, costoro eran generalmente de’ più abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo; l’incarico loro era tenuto a vile anche da quelli che potevano averne terrore, e il loro titolo un improperio. Era quindi ben naturale che costoro, in vece di rischiare, e gettar la vita in un’impresa disperata, vendessero la loro anima ai potenti, e si riservassero a esercitare la loro esecrata autorità e la forza che pure avevano, in quelle occasioni dove non c’era pericolo; nell’opprimer cioè, e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa.

    L’uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d’essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in quei tempi, portata al massimo punto la tendenza degl’individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva.

    Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l’individuo trovava il vantaggio d’impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene l’impunità. Le forze però di queste varie leghe eran molto disuguali; e, nelle campagne principalmente, il nobile dovizioso e violento, con intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini avvezzi, per tradizione famigliare, e interessati o forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldati del padrone, esercitava un potere, a cui difficilmente nessun’altra frazione di lega avrebbe ivi potuto resistere.

    Il nostro Toli non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, si era dunque accorto, prima di toccar ancora gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete.
    Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema particolare. Don Toli, assorbito continuamente nei pensieri della propria quiete, non si curava di quei vantaggi, per ottenere i quali facesse bisogno d’adoperarsi molto, o di rischiare un poco. Il suo sistema consisteva principalmente nello scansare tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare.

    Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise con pugni, o con le coltellate.

    Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all’altro ch’egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch’io mi sarei messo dalla vostra parte. Stando alla larga da’ prepotenti, dissimulando le loro soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da un’intenzione più seria e più meditata, costringendo, a forza d’inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl’incontrava per la strada, il pover’uomo era riuscito a passare i sessant’anni, senza gran burrasche.

    Non è però che non avesse anche lui il suo po’ di fiele in corpo; e quel continuo esercitar la pazienza, quel dar così spesso ragione agli altri, que’ tanti bocconi amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato a segno che, se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli un po’ di sfogo, la sua salute n’avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v’eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch’egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d’essere un po’ fantastico, e di gridare a torto. Era poi
    un rigido censore degli uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza nessun pericolo sia vicino che lontano. Il battuto era almeno un imprudente; l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Toli sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perchè la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro. Sopratutto poi, declamava contro i suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d’un debole oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gl’impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamente, ch’era un mischiarsi nelle cose profane, a danno della dignità del sacro ministero. E contro questi predicava, sempre però a quattr’occhi, o in un piccolissimo crocchio, con tanto più di veemenza, quanto più essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi, in cosa che li toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sè, e stia ne’ suoi panni, non accadon mai brutti incontri.

    Pensino ora i seguaci di Gosho che leggono questa parodie assai cringe che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato. Lo spavento di que’ visacci e di quelle parolacce, la minaccia d’un signore noto per non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch’era costato tant’anni di studio e di pazienza, sconcertato in un punto, e un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano tumultuariamente nel capo basso di don Toli. — Se Vandalych si potesse mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche costui è una testa: un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli... ih! E poi, e poi, perduto dietro a quella Lucia, innamorato come... Ragazzacci, che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro; non si fanno carico de’ travagli in che mettono un povero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e prenderla con me! Che c’entro io? Son io che voglio maritarmi? Perché non son andati piuttosto a parlare... Oh vedete un poco: gran destino è il mio, che le cose a proposito mi vengan sempre in mente un momento dopo l’occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che andassero a portar la loro imbasciata... — Ma, a questo punto, s’accorse che il pentirsi di non essere stato consigliere e cooperatore dell’iniquità era cosa troppo iniqua; e rivolse tutta la stizza de’ suoi pensieri contro quell’altro che veniva così a togliergli la sua pace. Non conosceva don Holmes che di vista e di fama, nè aveva mai avuto che far con lui, altro che di toccare il petto col mento, e la terra con la punta del suo cappello, quelle poche volte che l’aveva incontrato per la strada.

    Gli era occorso di difendere, in più d’un’occasione, la riputazione di quel signore, contro coloro che, a bassa voce, sospirando, e alzando gli occhi al cielo, maledicevano qualche suo fatto: aveva detto cento volte ch’era un rispettabile cavaliere. Ma, in quel momento gli diede in cuor suo tutti que’ titoli che non aveva mai udito applicargli da altri, senza interrompere in fretta con un oibò. Giunto, tra il tumulto di questi pensieri, alla porta di casa sua, ch’era in fondo del paesello, mise in fretta nella toppa la chiave, che già teneva in mano; aprì, entrò, richiuse diligentemente; e, ansioso di trovarsi in una compagnia fidata, chiamò subito: “LU! LU!,” avviandosi pure verso il salotto, dove questa doveva esser certamente ad apparecchiar la tavola per la cena. Era Lu la perpetua , come ognun se n’avvede, la serva di don Toli {AO TOLI PURE LI SERVI TIENI OH leggerlo alla Kahori} : serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l’occasione, tollerare a tempo il brontolìo e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che divenivan di giorno in giorno più frequenti, da che aveva passata l’età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche che in più di un occasione hanno rischiato d'esser lapidate (Nel 600 il tostapane non esiste. ☢️ )

    “Vengo,” rispose, mettendo sul tavolino, al luogo solito, il fiaschetto del vino prediletto di Don Toli e si mosse lentamente; ma non aveva ancor toccata la soglia del salotto, ch’egli v’entrò, con un passo così legato, con uno sguardo così adombrato, con un viso così stravolto, che non ci sarebbero nemmen bisognati gli occhi esperti di Lu, per scoprire a prima vista che gli era accaduto qualche cosa di straordinario davvero.

    “Misericordia! cos’ha, signor padrone?”

    “Niente, niente,” rispose , lasciandosi andar tutto ansante sul suo seggiolone.

    “Come, niente? La vuol dare ad intendere a me? così brutto com’è? Qualche gran caso è avvenuto.”

    “Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire.”

    “Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà cura della sua salute? Chi le darà un parere?...”

    “Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un bicchiere del mio vino.”

    “E lei mi vorrà sostenere che non ha niente!” disse Lu, empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare.
    ( Toli dillo che vuoi morire)

    “Date qui, date qui,” disse don Tolihama, prendendole il bicchiere, con la mano tremante e votandolo poi in fretta, come se fosse una medicina.

    “Vuol dunque ch’io sia costretta di domandar qua e là cosa sia accaduto al mio padrone?” disse Lu, ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto.

    “Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va... ne va la vita!”

    “La vita!”

    “La vita.”

    “Lei sa bene che, ogni volta che m’ha detto qualche cosa sinceramente, in confidenza, io non ho mai...”

    “Brava! come quando...”

    Lu s’avvide d’aver toccato un tasto falso; onde, cambiando subito il tono, “signor padrone,” disse, con voce commossa e da commuovere, “io le sono sempre stata affezionata; e, se ora voglio sapere, è per premura, perché vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere, sollevarle l’animo...”

    Il fatto sta che Toli aveva forse tanta voglia di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Lu di conoscerlo; onde, dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più d’una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso. Quando si venne al nome terribile del mandante, bisognò che Lu proferisse un nuovo e più solenne giuramento; e Toli, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla spalliera della seggiola, con un gran sospiro, alzando le mani, in atto insieme di comando e di supplica, e dicendo: “per amor del cielo!”

    “Delle sue!” esclamò Lu. “Oh che birbone! oh che soverchiatore! oh che uomo senza timor di Dio!”

    “Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?”

    “Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come farà, povero signor padrone?”

    “Oh vedete,” disse don Toli, con voce stizzosa: “vedete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come farò, come farò; quasi fosse lei nell’impiccio, e toccasse a me di levarnela.”

    “Ma! io l’avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi...”

    “Ma poi, sentiamo.”

    “Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il nostro arcivescovo è un sant’uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno, e, quando può fare star a dovere un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera, per informarlo come qualmente...”

    “Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a un pover’uomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l’arcivescovo me la leverebbe?”

    “Eh! le schioppettate non si danno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto perché lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a...”

    “Volete tacere?”

    “Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s’accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le...”

    “Volete tacere? È tempo ora di dir codeste baggianate?”

    “Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi un boccone.”

    “Ci penserò io,” rispose, brontolando, don Toli: “sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare.” E s’alzò, continuando: "non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch’io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader per l’appunto a me.”

    “Mandi almen giù quest’altro gocciolo,” disse Lu, mescendo. “Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.”

    “Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro.”

    Così dicendo prese il lume, e, brontolando sempre: “una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani com’andrà?” e altre simili lamentazioni, s’avviò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro e mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne: “per amor del cielo!” e dopo che Lu, la comara perpetua, annui andò via.


    Angolo delle Asce

    Ed ecco il capitolo 1 del romanzo dei Promessi Sposi. Chiedo venia a Toli, e si volevo mettere Vanda e Kahori ma poi ho usufruito di AsiaLu perfetta per interpretare Lucia. Passano la vita a Macheoharsi a vicenda e poi Sorry Holmes ma per motivi di trama ho usato te e tranquilla Angela non mi sono scordata di te.

    Ora filo, e mi rivedrete qua, se non vengo bannata prima!
     
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    Io metto un cuore preventivo, poi me la leggo con calma! 😂
     
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    {AO TOLI PURE LI SERVI TIENI OH leggerlo alla Kahori}

    Non c'era nemmeno bisogno di dirmelo, l'avrei letto alla Kahori comunque XD
    Comunque, brava alla nostra mini Manzoni! <3
     
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    Grazie ragazzi! 😘
     
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    E Follia AHAHAHAH il Manzoni sarebbe fiero comunque. XD
    Ma mi perdonerai se sono andata più "veloce" sulle parti descrittive, la sintesi non è dono del grande autore, ahimè. XD Ma la scena coi personaggi sostituiti con noi mi fa morire 😂 e soprattutto

    CITAZIONE
    “Vuol dunque ch’io sia costretta di domandar qua e là cosa sia accaduto al mio padrone?” disse Lu, ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto.

    questa con Tolihama è una scena verosimile. Ahahah

    Be', sono curiosa di vedere cosa farà il povero Renz-EHM volevo dire Vanda, all'apprender tale notizia dal buon vecchio Tolihama!
     
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    Vedrai cara Lu, Toli non è un cuore di Leone, Vanda riuscirà a capire la verità da Agnese, vediamo chi sarà? :risa:
     
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    Si racconta che il principe di Condè dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina. Don Tolihama invece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in consulte angosciose. Non far caso dell’intimazione ribalda, né delle minacce, e fare il matrimonio, era un partito, che non volle neppur mettere in deliberazione. Confidare a Vanda l’occorrente, e cercar con lui qualche mezzo... Dio liberi! “Non si lasci scappar parola... altrimenti... ehm!” aveva detto un di que’ bravi; e, al sentirsi rimbombar quell’ehm! nella mente, don Toli, non che pensare a trasgredire una tal legge, si pentiva anche dell’aver ciarlato con Lu. Fuggire? Dove? E poi! Quant’impicci, e quanti conti da rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover’uomo si rivoltava nel letto. Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo, menando Vanda per le lunghe. Si rammentò a proposito, che mancavan pochi giorni al tempo proibito per le nozze; — e, se posso tenere a bada, per questi pochi giorni, quel ragazzone, ho poi due mesi di respiro; e, in due mesi, può nascer di gran cose. — Ruminò pretesti da metter in campo; e, benché gli paressero un po’ leggieri, pur s’andava rassicurando col pensiero che la sua autorità gli avrebbe fatti parer di giusto peso, e che la sua antica esperienza gli darebbe gran vantaggio sur un giovanetto ignorante. — Vedremo, — diceva tra sé: — egli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle: il più interessato son io, lasciando stare che sono il più accorto. Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo. — Fermato così un poco l’animo a una deliberazione, potè finalmente chiuder occhio: ma che sonno! che sogni! Bravi, don Holmes, Vanda, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate.

    Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio, è un momento molto amaro. La mente, appena risentita, ricorre all’idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosamente questo momento, il curato ricapitolò subito i suoi disegni della notte, si confermò in essi, gli ordinò meglio, s’alzò, e stette aspettando Vanda con timore e, ad un tempo, con impazienza.

    Vandalych o, come dicevan tutti, Vanda non si fece molto aspettare.
    Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v’andò, con la lieta furia d’un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama. Era, fin dall’adolescenza, rimasto privo de’ parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua famiglia; professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a segno che un abile operaio non potesse cavarne di che vivere onestamente. Il lavoro andava di giorno in giorno scemando; ma l’emigrazione continua de’ lavoranti, attirati negli stati vicini da promesse, da privilegi e da grosse paghe, faceva sì che non ne mancasse ancora a quelli che rimanevano in paese. Oltre di questo, possedeva Vanda un poderetto che faceva lavorare e lavorava egli stesso, quando il filatoio stava fermo; di modo che, per la sua condizione, poteva dirsi agiato.

    E quantunque quell’annata fosse ancor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a provare una vera carestia, pure il nostro giovine, che, da quando aveva messi gli occhi addosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava provvisto bastantemente, e non aveva a contrastar con la fame. Comparve davanti a don Toli, in gran gala, con penne di vario colore al cappello, col suo pugnale del manico bello, nel taschino de’ calzoni, con una cert’aria di festa e nello stesso tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti.

    L’accoglimento incerto e misterioso di don Toli fece un contrapposto singolare ai modi gioviali e risoluti del giovinotto.

    — Che abbia qualche pensiero per la testa, — argomentò Vanda tra sé, poi disse: “son venuto, signor curato, per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.”

    “Di che giorno volete parlare?”

    “Come, di che giorno? non si ricorda che s’è fissato per oggi?”

    “Oggi?" replicò don Toli, come se ne sentisse parlare per la prima volta. “Oggi, oggi... abbiate pazienza, ma oggi non posso.”

    “Oggi non può! Cos’è nato?”

    “Prima di tutto, non mi sento bene, vedete.”

    “Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di così poco tempo, e di così poca fatica...”

    “E poi, e poi, e poi...”

    “E poi che cosa?”

    “E poi c’è degli imbrogli.”

    "Degl’imbrogli? Che imbrogli ci può essere?"

    "Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer quanti impicci nascono in queste materie, quanti conti s’ha da rendere. Io son troppo dolce di cuore, non penso che a levar di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto, a far le cose secondo il piacere altrui, e trascuro il mio dovere; e poi mi toccan de’ rimproveri, e peggio."

    "Ma, col nome del cielo, non mi tenga così sulla corda, e mi dica chiaro e netto cosa c’è."

    "Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare un matrimonio in regola?"

    "Bisogna ben ch’io ne sappia qualche cosa," disse Vanda, cominciando ad alterarsi, "poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non s’è sbrigato ogni cosa? non s’è fatto tutto ciò che s’aveva a fare?"

    "Tutto, tutto, pare a voi: perché, abbiate pazienza, la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare la gente. Ma ora...basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l’ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.”

    “Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.”

    “Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”

    “Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”

    *“Error, conditio, votum, cognatio, crimen,

    Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,

    Si sis affinis,...”*

    cominciava don Toli ( traduci per i poveri mortali) , contando sulla punta delle dita.

    “Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?

    Angolo Asce

    Madó visto che il primo capitolo era talmente lungo da farvi incrociare gli occhi ecco il seguoto la seconda parte la posto tra un paio di secondi.

    “Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.”

    “Orsù!...”

    “Via, caro Vanda, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di maritarvi...”

    “Che discorsi son questi, signor mio?” proruppe egli, con un volto tra l’attonito e l’adirato.

    “Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.”

    “Insomma...”

    “Insomma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.”

    “Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?”

    “Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet...”

    “Le ho detto che non voglio latino.”

    “Ma bisogna pur che vi spieghi...”

    “Ma non le ha già fatte queste ricerche?”

    “Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico.”

    “Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tutto era finito? perché aspettare...”

    “Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ogni cosa per servirvi più presto: ma.... ma ora mi son venute.... basta, so io.”

    “E che vorrebbe ch’io facessi?”

    “Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caro, qualche giorno non è poi l’eternità: abbiate pazienza.”

    “Per quanto?”

    — Siamo a buon porto, — pensò tra sé don Toli; e, con un fare più manieroso che mai, “via,” disse: “in quindici giorni cercherò,... procurerò...”

    “Quindici giorni! oh questa sì ch’è nuova! S’è fatto tutto ciò che ha voluto lei; s’è fissato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni! Quindici...” riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e battendo il pugno nell’aria; e chi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se Toli non l’avesse interrotto, prendendogli l’altra mano, con un’amorevolezza timida e premurosa: “via, via, non v’alterate, per amor del cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana...”

    “E a Lucia che devo dire?”

    “Ch’è stato un mio sbaglio.”

    “E i discorsi del mondo?”

    “Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.”

    “E poi, non ci sarà più altri impedimenti?”

    “Quando vi dico...”

    “Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non m’appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco.” E così detto, se n’andò, facendo a don Toli un inchino men profondo del solito, e dandogli un’occhiata più espressiva che riverente.

    Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L’accoglienza fredda e impicciata di don Toli, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que’ due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d’incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell’accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Vanda che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Toli aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar più chiaro; ma, alzando gli occhi, vide Lu che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre essa apriva l’uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.

    “Buon giorno, Lu: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme.”

    “Ma! quel che Dio vuole, il mio povero Vanda.”

    “Fatemi un piacere: quel benedett’uomo del signor curato m’ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemi voi meglio perché non può o non vuole maritarci oggi.”

    “Oh! vi par egli ch’io sappia i segreti del mio padrone?”

    — L’ho detto io, che c’era mistero sotto, — pensò Vanda; e, per tirarlo in luce, continuò: “via, Lu; siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.”

    “Mala cosa nascer povero, il mio caro Vandalo.”

    “È vero,” riprese questo, sempre più confermandosi ne’ suoi sospetti; e, cercando d’accostarsi più alla questione, “è vero,” soggiunse, “ma tocca ai preti a trattar male co’ poveri?”

    “Sentite, Vanda; io non posso dir niente, perché... non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.”

    “C‘hi è dunque che ci ha colpa?” domandò Vanda, con un cert’atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l’orecchio all’erta.

    “Quando vi dico che non so niente... In difesa del mio padrone, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Pover’uomo! se pecca, è per troppa bontà. C’è bene a questo mondo de’ birboni, de’ prepotenti, degli uomini senza timor di Dio...”

    — Prepotenti! birboni! — pensò Vanda: — questi non sono i superiori. “Via,” disse poi, nascondendo a stento l’agitazione crescente, “via, ditemi chi è.”

    “Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché... non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt’e due.” Così dicendo, entrò in fretta nell’orto, e chiuse l’uscio. Vanda, rispostole con un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell’orecchio della buona donna, allungò il passo; in un momento fu all’uscio di don Toli; entrò, andò diviato al salotto dove l’aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.

    “Eh! eh! che novità è questa?” disse don Toli

    “Chi è quel prepotente,” disse Vanda, con la voce d’un uomo ch’è risoluto d’ottenere una risposta precisa, “chi è quel prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia?”

    “Che? che? che?” balbettò il povero sorpreso, con un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio che esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all'uscio. Ma egli, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava all'erta, vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la mise in tasca.

    “Ah! ah! parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti miei, fuori di me. Voglio saperli, per bacco, anch'io. Come si chiama colui?”

    “Vanda! Vanda! per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra.”

    “Penso che lo voglio saper subito, sul momento.” E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino.

    “Misericordia!” esclamò con voce fioca don Toli.

    “Lo voglio sapere.”

    “Chi v’ha detto...”

    “No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito.”

    “Mi volete morto?”

    “Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere.”

    “Ma se parlo, son morto. Non m’ha da premere la mia vita?”

    “Dunque parli.”

    Quel “dunque” fu proferito con una tale energia, l’aspetto di Vanda divenne così minaccioso, che don Toli non poté più nemmen supporre la possibilità di disubbidire.

    “Mi promettete, mi giurate,” disse “di non parlarne con nessuno, di non dir mai...?”

    “Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi dice subito subito il nome di colui.”

    A quel nuovo scongiuro, don Toli, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti, proferì: “don...”

    “Don?” ripetè Vanda, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l’orecchio chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all'indietro.

    “Don HOLMES!” pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte per il turbamento, parte perché, rivolgendo pure quella poca attenzione che gli rimaneva libera, a fare una transazione tra le due paure, pareva che volesse sottrarre e fare scomparir la parola, nel punto stesso ch'era costretto a metterla fuori.

    “Ah cane!” urlò Vanda. “E come ha fatto? Cosa le ha detto per...?”

    “Come eh? come?” rispose, con voce quasi sdegnosa, don Toli, il quale, dopo un così gran sagrifizio, si sentiva in certo modo divenuto creditore. “Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non c’entro per nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in capo.” E qui si fece a dipinger con colori terribili il brutto incontro; e, nel discorrere, accorgendosi sempre più d’una gran collera che aveva in corpo, e che fin allora era stata nascosta e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo che Vanda, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso, continuò allegramente: “avete fatta una bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! in casa sua! in luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza! Per cavarmi di bocca il mio malanno, il vostro malanno! ciò ch'io vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete? Vorrei vedere che mi faceste...! Per amor del cielo! Non si scherza. Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza. E quando, questa mattina, vi davo un buon parere... eh! subito nelle furie. Io avevo giudizio per me e per voi; ma come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave.”

    “Posso aver fallato,” rispose Vanda , con voce raddolcita verso Toli, ma nella quale si sentiva il furore contro il nemico scoperto: “posso aver fallato; ma si metta la mano al petto, e pensi se nel mio caso...”

    Così dicendo, s’era levata la chiave di tasca, e andava ad aprire. Don Toli gli andò dietro, e, mentre quegli girava la chiave nella toppa, se gli accostò, e, con volto serio e ansioso, alzandogli davanti agli occhi le tre prime dita della destra, come per aiutarlo anche lui dal canto suo, “giurate almeno...” gli disse.

    “Posso aver fallato; e mi scusi,” rispose Toli, aprendo, e disponendosi ad uscire.

    “Giurate...” replicò don Toli, afferrandogli il braccio con la mano tremante.

    “Posso aver fallato,” ripetè Vanda , sprigionandosi da lui; e partì in furia, troncando così la questione, che, al pari d’una questione di letteratura o di filosofia o d’altro, avrebbe potuto durar dei secoli, giacché ognuna delle parti non faceva che replicare il suo proprio argomento.

    “LU! LU!” gridò don Abbondio, dopo avere invano richiamato il fuggitivo. Lu non risponde: don Toli non sapeva più in che mondo si fosse.

    { Lu parli troppo XD}

    È accaduto più d’una volta a personaggi di ben più alto affare che don Toli, di trovarsi in frangenti così fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo ripiego mettersi a letto con la febbre. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare, perché gli si offerse da sé. La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l’ansietà dell’avvenire, fecero l’effetto. Affannato e balordo, si ripose sul suo seggiolone, cominciò a sentirsi qualche brivido nell’ossa, si guardava le unghie sospirando, e chiamava di tempo in tempo, con voce tremolante e stizzosa: “ Lu!” La venne finalmente, con un gran cavolo sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla fosse stato. Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i “voi sola potete aver parlato,” e i “non ho parlato,” tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che don Toli ordinò a Lu di metter la stanga all’uscio, di non aprir più per nessuna cagione, e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato era andato a letto con la febbre. Salì poi lentamente le scale, dicendo, ogni tre scalini, “son servito;” e si mise davvero a letto, dove lo lasceremo.

    Vanda intanto camminava a passi infuriati verso casa, senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Vanda era un giovine pacifico e alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d’ogni insidia; ma, in que’ momenti, il suo cuore non batteva che per l’omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di don Holmes, afferrarlo per il collo, e... ma gli veniva in mente ch’era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e servitori ben conosciuti v’entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un artigianello sconosciuto non vi potrebb’entrare senza un esame, e ch’egli sopra tutto... egli vi sarebbe forse troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere il suo schioppo, d’appiattarsi dietro una siepe, aspettando se mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi, con feroce compiacenza, in quell’immaginazione, si figurava di sentire una pedata, quella pedata, d’alzar chetamente la testa; riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira, sparava, lo vedeva cadere e dare i tratti, gli lanciava una maledizione, e correva sulla strada del confine a mettersi in salvo. — E Lucia? — Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Vanda, v’entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de’ suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e de’ santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza delitti, all’orrore che aveva tante volte provato al racconto d’un omicidio; e si risvegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro, e quel giorno così sospirato! E come, con che parole annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere? Come farla sua, a dispetto della forza di quell’iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un sospetto formato, ma un’ombra tormentosa gli passava per la mente. Quella soverchieria di don Holmes non poteva esser mossa che da una brutale passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era un pensiero che potesse fermarsi un momento nella testa del povero Vanda. Ma n’era informata? Poteva colui aver concepita quell’infame passione, senza che lei se n’avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima d’averla tentata in qualche modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui! al suo promesso!

    Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch’era nel mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s’avviò a quella di Lucia, ch’era in fondo, anzi un po’ fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino. Vanda entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S’immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova in corpo e sul volto. Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: “lo sposo! lo sposo!”

    “Zitta, Laura, zitta!” disse Vanda. “Vien qua; va su da Lucia, tirala in disparte, e dille all’orecchio... ma che nessun senta, né sospetti di nulla, ve’... dille che ho da parlarle, che l’aspetto nella stanza terrena, e che venga subito.” La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d’avere una commission segreta da eseguire.

    Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’ raggi d’un’aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch’esse, a ricami. Oltre a questo, ch’era l’ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d’una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare. La piccola Laura si cacciò nel crocchio, s’accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua parolina all’orecchio.

    “Vo un momento, e torno,” disse Lucia alle donne; e scese in fretta. Al veder la faccia mutata, e il portamento inquieto di Vanda, “cosa c’è?” disse, non senza un presentimento di terrore.

    “Lucia!” rispose Vanda, “per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie.”

    “Che?” disse Lucia tutta smarrita. Vanda le raccontò brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia: e quando udì il nome di don Holmes, “ah!” esclamò, arrossendo e tremando, “fino a questo segno!”

    “Dunque voi sapevate...?” disse Vanda.

    “Pur troppo!” rispose Lucia; “ma a questo segno!”

    “Che cosa sapevate?”

    “Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro a chiamar mia madre, e a licenziar le donne: bisogna che siam soli. ”

    Mentre ella partiva, Vanda ( ASIALU NON SI FA COSI!) sussurrò: “non m’avete mai detto niente.”

    “Ah, Vanda!” rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fermarsi. Vanda intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momento, con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch’io abbia taciuto se non per motivi giusti e puri?

    Intanto la buona Angela (così si chiamava la madre di Lucia), messa in sospetto e in curiosità dalla parolina all’orecchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a veder cosa c’era di nuovo. La figlia la lasciò con Vanda tornò alle donne radunate, e, accomodando l’aspetto e la voce, come potè meglio, disse: “il signor curato è ammalato; e oggi non si fa nulla.” Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese di nuovo.

    Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l’accaduto. Due o tre andaron fin all’uscio del curato, per verificar se era ammalato davvero.

    “Un febbrone,” rispose Lu dalla finestra; e la trista parola, riportata all’altre, troncò le congetture che già cominciavano a brulicar ne’ loro cervelli, e ad annunziarsi tronche e misteriose ne’ loro discorsi.

    Angolo asce

    La celebrazione del matrimonio richiede che il consenso sia posto tra un uomo e una donna giuridicamente abili (ossia non inabilitate da impedimenti), secondo le solennità previste dalla legge (ossia in ossequio alla forma canonica). I motivi di nullità del matrimonio riguardano quindi la mancanza della forma canonica, la presenza di impedimenti dirimenti non dispensati, un vizio o difetto del consenso.

    È bene precisare che il Tribunale Ecclesiastico non dichiara inefficace un matrimonio, non ha il potere di annullarlo; stabilisce se un matrimonio era nullo in partenza (nullità ab initio), se un matrimonio realmente non c'è mai stato, e questo, perché esisteva almeno una condizione da non renderlo tale.

    Ad esempio, in presenza di un matrimonio combinato, in cui l'unione non è frutto di una libera scelta dei coniugi, nonostante la cerimonia e che questo sia rato e consumato, questi coniugi non sono mai stati sposati. Il Tribunale Ecclesiastico non annulla il matrimonio, accerta che per questa causa un matrimonio non c'è mai stato.
    Il vizio di nullità può essere riconosciuto anche in fatti preannunciati o precedenti al matrimonio, caso tipico essendone la mancanza di alcune condizioni oggettive ritenute in dottrina essenziali al buon esito del legame. Sono i cosiddetti "impedimenti dirimenti", resi celebri ne I promessi sposi da Don Abbondio che ne riassume a Renzo la sequenza: "Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis, ..."!
     
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    Ho lettoo oraaa impeccabile quanto il primo!! Oddio hahah non aspettavo di vedermi cosi prestooo😂❤️
     
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    Si, cara ecco la tua apparizione, siccome i personaggi ci sono e ho pochi utenti fidati a disposizione ( vi avviso se riscuotessi successo e riuscissi a rianimare il salotto potrei dedicarmi anche alla divina commedia ndl server) in molti appariranno più volte. Il terzo uscirà in settimana, chi farà l'azzeccagarbugli e fra Galdino? Per non scordarti di Cristoforo, alla prossima!
     
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    Lucia entrò nella stanza terrena, mentre Vanda stava angosciosamente informando Angela, la quale angosciosamente lo ascoltava.
    Tutt'e due si volsero a chi ne sapeva più di loro, e da cui aspettavano uno schiarimento, il quale non poteva essere che doloroso: tutt'e due, lasciando travedere, in mezzo al dolore, e con l'amore diverso che ognun d'essi portava a Lucia, un cruccio pur diverso perché avesse taciuto loro qualche cosa, e una tal cosa. Angela, benché ansiosa di sentir parlare la figlia, non poté tenersi di non farle un rimprovero. - A tua madre non dir niente d'una cosa simile!
    - Ora vi dirò tutto, - rispose Lucia, asciugandosi gli occhi col grembiule.
    - Parla, parla! - Parlate, parlate! - gridarono a un tratto la madre e lo sposo.
    - Santissima Vergine! - esclamò Lucia: - chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! - E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Holmes in compagnia d'un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com'ella diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell'altro signore rider forte, e don Holmes dire: scommettiamo.

    Il giorno dopo, coloro s'eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l'altro signore sghignazzava, e don Holmes diceva: vedremo, vedremo. - Per grazia del cielo, - continuò Lucia, - quel giorno era l'ultimo della filanda. Io raccontai subito...
    - A chi hai raccontato? - domandò Angela, andando incontro, non senza un po' di sdegno, al nome del confidente preferito.
    - Al padre Ale, in confessione, mamma, - rispose Lucia, con un accento soave di scusa. - Gli raccontai tutto, l'ultima volta che siamo andate insieme alla chiesa del convento: e, se vi ricordate, quella mattina, io andava mettendo mano ora a una cosa, ora a un'altra, per indugiare, tanto che passasse altra gente del paese avviata a quella volta, e far la strada in compagnia con loro; perché, dopo quell'incontro, le strade mi facevan tanta paura...
    Al nome riverito del padre Ale, lo sdegno d'Angela si raddolcì. - Hai fatto bene, - disse, - ma perché non raccontar tutto anche a tua madre?
    Lucia aveva avute due buone ragioni: l'una, di non contristare né spaventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto trovar rimedio; l'altra, di non metter a rischio di viaggiar per molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta: tanto più che Lucia sperava che le sue nozze avrebber troncata, sul principiare, quell'abbominata persecuzione. Di queste due ragioni però, non allegò che la prima.
    - E a voi, - disse poi, rivolgendosi a Vanda, con quella voce che vuol far riconoscere a un amico che ha avuto torto: - e a voi doveva io parlar di questo? Pur troppo lo sapete ora!
    - E che t'ha detto il padre? - domandò Angela.
    - M'ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più che potessi, e intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e che sperava che colui, non vedendomi, non si curerebbe più di me. E fu allora che mi sforzai, - proseguì, rivolgendosi di nuovo a Vanda, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, - fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata, e tenevo per certo... e questa mattina, ero tanto lontana da pensare... - Qui le parole furon troncate da un violento scoppio di pianto.
    - Ah birbone! ah dannato! ah assassino! - gridava Vanda, correndo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo di tanto in tanto il manico del suo coltello.




    - Oh che imbroglio, per amor di Dio! - esclamava Angela. Il giovine si fermò d'improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: - questa è l'ultima che fa quell'assassino.
    - Ah! no, Vanda, per amor del cielo! - gridò Lucia. - No, no, per amor del cielo! Il Signore c'è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male?
    - No, no, per amor del cielo! - ripeteva Angela.
    - Amore, - disse Lucia, con un'aria di speranza e di risoluzione più tranquilla: - voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo tanto lontano, che colui non senta più parlar di noi.
    - Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie! Il curato vorrà farci la fede di stato libero? Un uomo come quello? Se fossimo maritati, oh allora...!
    Lucia si rimise a piangere; e tutt'e tre rimasero in silenzio, e in un abbattimento che faceva un tristo contrapposto alla pompa festiva de' loro abiti.
    - Sentite, figliuoli; date retta a me, - disse, dopo qualche momento, Angela. - Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato... so ben io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli, raccontategli... Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor... Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta, cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia.
    - Lo conosco di vista, - disse Vanda
    - Bene, - continuò Angela: - quello è una cima d'uomo! Ho visto io più d'uno ch'era più impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca-garbugli (badate bene di non chiamarlo così!), l'ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.

    Vanda abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Angela, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Vandalo Scandalo, il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli.

    Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
    Giunto al borgo, domandò dell'abitazione del dottore; gli fu indicata, e v'andò. All'entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d'un signore e d'un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un'occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Vandalych andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch'egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: - date qui, e andate innanzi -. Egli fece un grande inchino: il dottore l'accolse umanamente, con un - venite, figliuolo, - e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de' dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d'allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all'intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s'alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s'accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè coperto d'una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt'anni addietro, per perorare, ne' giorni d'apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d'importanza. Chiuse l'uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: - figliuolo, ditemi il vostro caso.

    Angolo Asce
    L'ho spezzettato cosi che non vi spaventiate i capitoli si stanno allungando

    - Vorrei dirle una parola in confidenza.
    - Son qui, - rispose il dottore: - parlate -. E s'accomodò sul seggiolone. Vanda, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l'altra, ricominciò: - vorrei sapere da lei che ha studiato...
    - Ditemi il fatto come sta, - interruppe il dottor Matteo.
    - Lei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere...
    - Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar il fatto, volete interrogare, perché avete già i vostri disegni in testa.
    - Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c'è penale.
    «Ho capito», disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. «Ho capito». E subito si fece serio, ma d'una serietà mista di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. - Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. E' un caso chiaro, contemplato in cento gride, e... appunto, in una dell'anno scorso, dell'attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.
    Così dicendo, s'alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
    - Dov'è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev'esser qui sicuro, perché è una grida d'importanza. Ah! ecco, ecco -. La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: - il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; è dell'anno passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere, figliuolo?
    - Un pochino, signor dottore.
    - Bene, venitemi dietro con l'occhio, e vedrete. E, tenendo la grida sciorinata in aria, cominciò a leggere, borbottando a precipizio in alcuni passi, e fermandosi distintamente, con grand'espressione, sopra alcuni altri, secondo il bisogno:
    - Se bene, per la grida pubblicata d'ordine del signor Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, et confirmata dall'lllustriss. et Eccellentiss. Signore il Signor Gonzalo Sufi Fernandez de Cordova, eccetera, fu con rimedii straordinarii e rigorosi provvisto alle oppressioni, concussioni et atti tirannici che alcuni ardiscono di commettere contro questi Vassalli tanto divoti di S. M., ad ogni modo la frequenza degli eccessi, e la malitia, eccetera, è cresciuta a segno, che ha posto in necessità l'Eccell. Sua, eccetera. Onde, col parere del Senato et di una Giunta, eccetera, ha risoluto che si pubblichi la presente.
    - E cominciando dagli atti tirannici, mostrando l'esperienza che molti, così nelle Città, come nelle Ville... sentite? di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni et opprimono i più deboli in varii modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre, d'affitti... eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: che seguano o non seguano matrimonii. Eh?
    E' il mio caso, - disse Vanda.
    - Sentite, sentite, c'è ben altro; e poi vedremo la pena. Si testifichi, o non si testifichi; che uno si parta dal luogo dove abita, eccetera; che quello paghi un debito; quell'altro non lo molesti, quello vada al suo molino: tutto questo non ha che far con noi. Ah ci siamo: quel prete non faccia quello che è obbligato per l'uficio suo, o faccia cose che non gli toccano. Eh?
    - Pare che abbian fatta la grida apposta per me.
    - Eh? non è vero? sentite, sentite: et altre simili violenze, quali seguono da feudatarii, nobili, mediocri, vili, et plebei. Non se ne scappa: ci son tutti: è come la valle di Giosafat. Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili male attioni, benché siano proibite, nondimeno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E., per la presente, non derogando, eccetera, ordina e comanda che contra li contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte... una piccola bagattella! all'arbitrio dell'Eccellenza Sua, o del Senato, secondo la qualità dei casi, persone e circostanze. E questo ir-re-mis-si-bil-mente e con ogni rigore, eccetera. Ce n'è della roba, eh? E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Sufi Fernandez de Cordova; e più in giù: Serena Platonus; e qui ancora: Vidit Ferrer: non ci manca niente.
    Mentre il dottore leggeva, Vanda gli andava dietro lentamente con l'occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover esser il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si maravigliava. «Che sia matricolato costui», pensava tra sé. - Ah! ah! - gli disse poi: - vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio; ma voi non sapete quel che mi basti l'animo di fare, in un'occasione.
    Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere, e i facinorosi d'ogni genere, usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera, all'atto d'affrontar qualcheduno, ne' casi in cui stimasser necessario di travisarsi, e l'impresa fosse di quelle, che richiedevano nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in silenzio su questa moda. Comanda Sua Eccellenza (il marchese Mattia de la Hynojosa) che chi porterà i capelli di tal lunghezza che coprano il fronte fino alli cigli esclusivamente, ovvero porterà la trezza, o avanti o dopo le orecchie, incorra la pena di trecento scudi; et in caso d'inhabilità, di tre anni di galera, per la prima volta, e per la seconda, oltre la suddetta, maggiore ancora, pecuniaria et corporale, all'arbitrio di Sua Eccellenza.


    Permette però che, per occasione di trovarsi alcuno calvo, o per altra ragionevole causa di segnale o ferita, possano quelli tali, per maggior decoro e sanità loro, portare i capelli tanto lunghi, quanto sia bisogno per coprire simili mancamenti e niente di più; avvertendo bene a non eccedere il dovere e pura necessità, per (non) incorrere nella pena agli altri contraffacienti imposta.
    E parimente comanda a' barbieri, sotto pena di cento scudi o di tre tratti di corda da esser dati loro in pubblico, et maggiore anco corporale, all'arbitrio come sopra, che non lascino a quelli che toseranno, sorte alcuna di dette trezze, zuffi, rizzi, né capelli più lunghi dell'ordinario, così nella fronte come dalle bande, e dopo le orecchie, ma che siano tutti uguali, come sopra, salvo nel caso dei calvi, o altri difettosi, come si è detto. Il ciuffo era dunque quasi una parte dell'armatura, e un distintivo de' bravacci e degli scapestrati; i quali poi da ciò vennero comunemente chiamati ciuffi. Questo termine è rimasto e vive tuttavia, con significazione più mitigata, nel dialetto: e non ci sarà forse nessuno de' nostri lettori milanesi, che non si rammenti d'aver sentito, nella sua fanciullezza, o i parenti, o il maestro, o qualche amico di casa, o qualche persona di servizio, dir di lui: è un ciuffo, è un ciuffetto.
    - In verità, da povero figliuolo, - rispose Vanda, - io non ho mai portato ciuffo in vita mia.
    - Non facciam niente, - rispose il dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. - Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All'avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch'io v'aiuti, bisogna dirmi tutto, dall'a fino alla zeta, col cuore in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io anderò da lui, a fare un atto di dovere. Non gli dirò, vedete, ch'io sappia da voi, che v'ha mandato lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero giovine calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per finir l'affare lodevolmente. Capite bene che, salvando sé, salverà anche voi. Se poi la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da peggio imbrogli... Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m'impegno a togliervi d'impiccio: con un po' di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l'offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l'umore dell'amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo d'attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell'orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se ne starà zitto; se fosse una testolina, c'è rimedio anche per quelle. D'ogni intrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è serio, vi dico, serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giustizia e voi, così a quattr'occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle: se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello che vi sarà suggerito.



    Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Vanda lo stava guardando con un'attenzione estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai. Quand'ebbe però capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca, dicendo: - oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'è proprio tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La bricconeria l'hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e son ben contento d'aver visto quella grida.
    - Diavolo! - esclamò il dottore, spalancando gli occhi. - Che pasticci mi fate? Tant'è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare le cose?

    ( MATTE SI PO SAPE CHE CAPISC? SEMB TU SI😂)

    - Ma mi scusi; lei non m'ha dato tempo: ora le racconterò la cosa, com'è. Sappia dunque ch'io dovevo sposare oggi, - e qui la voce di Vanda si commosse, - dovevo sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo, fin da quest'estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse... basta, per non tediarla, io l'ho fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m'ha confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di Don Holmes...
    - Eh via! - interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, - eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m'impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.
    - Le giuro...
    - Andate, vi dico: che volete ch'io faccia de' vostri giuramenti? Io non c'entro: me ne lavo le mani -. E se le andava stropicciando, come se le lavasse davvero. - Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un galantuomo.

    - Ma senta, ma senta, - ripeteva implorante Vanda che soprannominato era Scandalo, e stavolta lo era di fatto: il dottore, sempre gridando, lo spingeva con le mani verso l'uscio; e, quando ve l'ebbe cacciato, aprì, chiamò la serva, e le disse: - restituite subito a quest'uomo quello che ha portato: io non voglio niente, non voglio niente.
    Quella donna non aveva mai, in tutto il tempo ch'era stata in quella casa, eseguito un ordine simile: ma era stato proferito con una tale risoluzione, che non esitò a ubbidire. Prese le quattro povere bestie, e le diede a Renzo, con un'occhiata di compassione sprezzante, che pareva volesse dire: bisogna che tu l'abbia fatta bella. Vanda voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine, più attonito e più stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime rifiutate, e tornar al paese, a raccontar alle donne il bel costrutto della sua spedizione.


    Le donne, nella sua assenza, dopo essersi tristamente levate il vestito delle feste e messo quello del giorno di lavoro, si misero a consultar di nuovo, Lucia singhiozzando e Angela sospirando. Quando questa ebbe ben parlato de' grandi effetti che si dovevano sperare dai consigli del dottore, Lucia disse che bisognava veder d'aiutarsi in tutte le maniere; che il padre Cristoforo era uomo non solo da consigliare, ma da metter l'opera sua, quando si trattasse di sollevar poverelli; e che sarebbe una gran bella cosa potergli far sapere ciò ch'era accaduto. - Sicuro, - disse Angela: e si diedero a cercare insieme la maniera; giacché andar esse al convento, distante di là forse due miglia, non se ne sentivano il coraggio, in quel giorno: e certo nessun uomo di giudizio gliene avrebbe dato il parere. Ma, nel mentre che bilanciavano i partiti, si sentì un picchietto all'uscio, e, nello stesso momento, un sommesso ma distinto - Deo gratias -. Lucia, immaginandosi chi poteva essere, corse ad aprire; e subito, fatto un piccolo inchino famigliare, venne avanti un laico cercatore cappuccino, con la sua bisaccia pendente alla spalla sinistra, e tenendone l'imboccatura attortigliata e stretta nelle due mani sul petto.
    - Oh fra Davidino! - dissero le due donne.
    - Il Signore sia con voi, - disse il frate. - Vengo alla cerca delle noci.
    - Va' a prender le noci per i padri, - disse Angela. Lucia s'alzò, e s'avviò all'altra stanza, ma, prima d'entrarvi, si trattenne dietro le spalle di fra Davidino, che rimaneva diritto nella medesima positura; e, mettendo il dito alla bocca, diede alla madre un'occhiata che chiedeva il segreto, con tenerezza, con supplicazione, e anche con una certa autorità.
    Il cercatore, sbirciando Angela così da lontano, disse: - e questo matrimonio? Si doveva pur fare oggi: ho veduto nel paese una certa confusione, come se ci fosse una novità. Cos'è stato?
    - Il signor curato è ammalato, e bisogna differire, - rispose in fretta la donna. Se Lucia non faceva quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa. - E come va la cerca? - soggiunse poi, per mutar discorso.
    - Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui -. E, così dicendo, si levò la bisaccia d'addosso, e la fece saltar tra le due mani. - Son tutte qui; e, per mettere insieme questa bella abbondanza, ho dovuto picchiare a dieci porte.
    - Ma! le annate vanno scarse, fra Davidino; e, quando s'ha a misurar il pane, non si può allargar la mano nel resto.
    - E per far tornare il buon tempo, che rimedio c'è, la mia donna? L'elemosina. Sapete di quel miracolo delle noci, che avvenne, molt'anni sono, in quel nostro convento di Sicilia?
    - No, in verità; raccontatemelo un poco.
    - Oh! dovete dunque sapere che, in quel convento, c'era un nostro padre, il quale era un santo, e si chiamava il padre Macallan. Un giorno d'inverno, passando per una viottola, in un campo d'un nostro benefattore, uomo dabbene anche lui, il padre Macallan vide questo benefattore vicino a un suo gran noce; e quattro contadini, con le zappe in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le radici al sole. «Che fate voi a quella povera pianta?» domandò il padre «Eh! padre, son anni e anni che la non mi vuol far noci; e io ne faccio legna». «Lasciatela stare, disse il padre: sappiate che, quest'anno, la farà più noci che foglie». Il benefattore, che sapeva chi era colui che aveva detta quella parola, ordinò subito ai lavoratori, che gettasser di nuovo la terra sulle radici; e, chiamato il padre, che continuava la sua strada, «padre Macallan, gli disse, la metà della raccolta sarà per il convento». Si sparse la voce della predizione; e tutti correvano a guardare il noce. In fatti, a primavera, fiori a bizzeffe, e, a suo tempo, noci a bizzeffe. Il buon benefattore non ebbe la consolazione di bacchiarle; perché andò, prima della raccolta, a ricevere il premio della sua carità. Ma il miracolo fu tanto più grande, come sentirete. Quel brav'uomo aveva lasciato un figliuolo di stampa ben diversa. Or dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscotere la metà ch'era dovuta al convento; ma colui se ne fece nuovo affatto, ed ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito dire che i cappuccini sapessero far noci. Sapete ora cosa avvenne? Un giorno, (sentite questa) lo scapestrato aveva invitato alcuni suoi amici dello stesso pelo, e, gozzovigliando, raccontava la storia del noce, e rideva de' frati. Que' giovinastri ebber voglia d'andar a vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li mena su in granaio. Ma sentite: apre l'uscio, va verso il cantuccio dov'era stato riposto il gran mucchio, e mentre dice: guardate, guarda egli stesso e vede... che cosa? Un bel mucchio di foglie secche di noce. Fu un esempio questo? E il convento, in vece di scapitare, ci guadagnò; perché, dopo un così gran fatto, la cerca delle noci rendeva tanto, tanto, che un benefattore, mosso a compassione del povero cercatore, fece al convento la carità d'un asino, che aiutasse a portar le noci a casa. E si faceva tant'olio, che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno; perché noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi.
    Qui ricomparve Lucia, col grembiule così carico di noci, che lo reggeva a fatica, tenendone le due cocche in alto, con le braccia tese e allungate. Mentre fra Davidino, levatasi di nuovo la bisaccia, la metteva giù, e ne scioglieva la bocca, per introdurvi l'abbondante elemosina, la madre fece un volto attonito e severo a Lucia, per la sua prodigalità; ma Lucia le diede un'occhiata, che voleva dire: mi giustificherò. Fra Davidino proruppe in elogi, in augùri, in promesse, in ringraziamenti, e, rimessa la bisaccia al posto, s'avviava. Ma Lucia, richiamatolo, disse: - vorrei un servizio da voi; vorrei che diceste al padre Ale, che ho gran premura di parlargli, e che mi faccia la carità di venir da noi poverette, subito subito; perché non possiamo andar noi alla chiesa.
    - Non volete altro? Non passerà un'ora che il padre Cristoforo saprà il vostro desiderio.
    - Mi fido.
    - Non dubitate -. E così detto, se andò, un po' più curvo e più contento, di quel che fosse venuto.
    Al vedere che una povera ragazza mandava a chiamare, con tanta confidenza, il padre Ale, e che il cercatore accettava la commissione, senza maraviglia e senza difficoltà, nessun si pensi che quel Ale fosse un frate di dozzina, una cosa da strapazzo. Era anzi uomo di molta autorità, presso i suoi, e in tutto il contorno; ma tale era la condizione de' cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso, né troppo elevato. Servir gl'infimi, ed esser servito da' potenti, entrar ne' palazzi e ne' tuguri, con lo stesso contegno d'umiltà e di sicurezza, esser talvolta, nella stessa casa, un soggetto di passatempo, e un personaggio senza il quale non si decideva nulla, chieder l'elemosina per tutto, e farla a tutti quelli che la chiedevano al convento, a tutto era avvezzo un cappuccino. Andando per la strada, poteva ugualmente abbattersi in un principe che gli baciasse riverentemente la punta del cordone, o in una brigata di ragazzacci che, fingendo d'esser alle mani tra loro, gl'inzaccherassero la barba di fango. La parola «frate» veniva, in que' tempi, proferita col più gran rispetto, e col più amaro disprezzo: e i cappuccini, forse più d'ogni altr'ordine, eran oggetto de' due opposti sentimenti, e provavano le due opposte fortune; perché, non possedendo nulla, portando un abito più stranamente diverso dal comune, facendo più aperta professione d'umiltà, s'esponevan più da vicino alla venerazione e al vilipendio che queste cose possono attirare da' diversi umori, e dal diverso pensare degli uomini.
    Partito fra Davidino, - tutte quelle noci! - esclamò Angela: - in quest'anno!
    (AsiaLu ma che combini)
    - Mamma, perdonatemi, - rispose Lucia; - ma, se avessimo fatta un'elemosina come gli altri, fra Galdino avrebbe dovuto girare ancora, Dio sa quanto, prima d'aver la bisaccia piena; Dio sa quando sarebbe tornato al convento; e, con le ciarle che avrebbe fatte e sentite, Dio sa se gli sarebbe rimasto in mente...
    - Hai pensato bene; e poi è tutta carità che porta sempre buon frutto, - disse Angela, la quale, co' suoi difettucci, era una gran buona donna, e si sarebbe, come si dice, buttata nel fuoco per quell'unica figlia, in cui aveva riposta tutta la sua compiacenza.

    Vanda arrivo in un brutto momento, ed entrando con un volto dispettoso e mortificato, come suol dire oggi con faccia da funerale gettò i capponi sur una tavola; e fu questa l'ultima trista vicenda delle povere bestie, per quel giorno.
    - Bel parere che m'avete dato! - disse ad Angela ( che tra un po lo va a infilare nel naso di Perpetua). - M'avete mandato da un buon galantuomo, da uno che aiuta veramente i poverelli! - E raccontò il suo abboccamento col dottore. La donna, stupefatta di così trista riuscita, voleva mettersi a dimostrare che il parere però era buono, e che Vanda non doveva aver saputo far la cosa come andava fatta; ma Lucia interruppe quella questione, annunziando che sperava d'aver trovato un aiuto migliore. Vanda avvillito accantonò le navi da guerra, come si suol dire ed accolse anche questa speranza, come accade a quelli che sono nella sventura e nell'impiccio. - Ma, se il padre, - disse, - non ci trova un ripiego, lo troverò io, in un modo o nell'altro.
    Le donne consigliaron la pace, la pazienza, la prudenza. - Domani, - disse Lucia, - il padre Ale verrà sicuramente; e vedrete che troverà qualche rimedio, di quelli che noi poveretti non sappiam nemmeno immaginare.
    - Lo spero; - disse Vanda, - ma, in ogni caso, saprò farmi ragione, o farmela fare. A questo mondo c'è giustizia finalmente.
    Co' dolorosi discorsi, e con le andate e venute che si son riferite, quel giorno era passato; e cominciava a imbrunire.
    - Buona notte, - disse tristamente Lucia a Vandalo, il quale non sapeva risolversi d'andarsene.
    - Buona notte, - rispose egli ancor più tristamente.
    - Qualche santo ci aiuterà, - replicò Lucia: - usate prudenza, e rassegnatevi.
    La donna aggiunse altri consigli dello stesso genere; e lo sposo se n'andò, col cuore in tempesta, ripetendo sempre quelle strane parole: - a questo mondo c'è giustizia, finalmente! - Tant'è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica.


    Angolo delle Asce!

    Sono sicura che non vi aspettavate la comparsa di padre Macallan, il marchese Mattia con al seguito Sufi e Serena al seguito.

    Troppi Ale nel server, qui taggo il lanciatrattori professionista AL_DC e il Davidino che rima con Galdino non può non essere il nostro bluggy!
     
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    Okay ho appena letto i primi due capitoli, con calma leggerò il terzo. Vai così Shine.... 😍
     
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    Grazie per l'incoraggiamento Ci! 😎
     
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    Grazie mille!
     
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